Brera, Lo Stato dell’Arte: qualche domanda al direttore, Dott. James Bradburne

di Alessandra Novellone

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Si è appena concluso con successo il grande intervento di riallestimento delle 38 sale della Pinacoteca, culminato nelle sale dell’Ottocento. Un lavoro titanico, concluso in soli 2 anni e mezzo. Quali sono state le principali difficoltà incontrate durante il percorso?
I veri ostacoli sempre da superare sono le procedure burocratiche, che rendono molto difficile utilizzare al meglio le risorse economiche e umane. Siamo riusciti a raggiungere gli obiettivi prefissati nella Pinacoteca grazie all’autonomia concessa dalla Riforma Franceschini, ma ogni volta che abbiamo dovuto rivolgerci a strutture esterne ci sono stati problemi di tempistica. Per esempio, la gara per il caffè Fernanda era iniziata nel giugno 2016.
Rispetto all’impegno precedente, alla guida per 9 anni di Palazzo Strozzi, riportato al centro del mondo culturale italiano, quali differenze ha riscontrato durante la Sua attività?
Una fondazione pubblica/privata, come la Fondazione Palazzo Strozzi, ha un’autonomia gestionale maggiore, che riguarda entrambe le risorse, economiche e umane, quindi è molto più snella. Inoltre, essendo per oltre il 51% privata, la fondazione poteva applicare la pratica privatistica, e evitare la pesante burocrazia che si impone in Italia sulle spese pubbliche.
In base alla Sua esperienza internazionale nel settore museale, come si è trovato con le risorse umane a disposizione in merito a professionalità, creatività nell’affrontare i problemi, flessibilità, impegno, senso di appartenenza, capacità di lavorare in team?
Siamo fortunati ad avere un’ottima squadra, al cui interno ho scoperto tante persone di altissima professionalità.
La sfida è trovare i modi di valorizzare le risorse, non è sempre possibile nella struttura statale.
Rispetto a due grandi musei italiani come gli Uffizi e Capodimonte, quali sono a Suo parere le peculiarità di Brera?
Abbiamo origini molto diverse, e di conseguenza, collezioni diverse, ma soprattutto filosofie diverse. Napoleone ha voluto che Brera fosse ‘il Louvre d’Italia’, non nel senso del Louvre attuale, ma nel suo spirito rivoluzionario, come un strumento didattico per il popolo, portabandiera dei valori dell’Illuminismo.
In un Suo intervento ha espresso un concetto molto suggestivo, affermando che “siamo tutti migranti nel tempo, e il nostro bagaglio è l’identità”. Vuole chiarire ai nostri Soci questo concetto?
Come hanno detto Modigliani, Wittgens e soprattutto Russoli prima di me, il museo è il crogiuolo della nostra identità, non solo ed esclusivamente come identità nazionale, ma umana. Come ha detto Fernanda Wittgens, “Vale a dire che ovunque, persino in galera, può essere salvato l’”umano” dal “bestiale” e che l’arte è forse una delle più alte forme di difesa dell’ “umano”. Russoli dal canto suo ha detto “Occorre dimostrare che il museo significa tutt’altro da ciò che si crede sia un museo. E credo che la via più diretta ed efficace per farlo, e per salvare così
anche tutte le altre sue funzioni istituzionali e specialistiche, sia proprio potenziare al massimo l’immagine del museo come crogiuolo e produttore di cultura”. Non debbo inventare nulla – la centralità del museo nella nostra civiltà fa parte del DNA di Brera.
Nel nuovo allestimento, oltre a elementi come le nuove didascalie, il percorso ripensato nell’ottica di una maggiore chiarezza e appeal per il visitatore, un’illuminazione del tutto rinnovata che fi nalmente rende giustizia alla bellezza delle opere esposte, e molto altro ancora, c’è anche l’aspetto del colore delle pareti, diverso a seconda della sale, dal rosso pompeiano all’azzurro polvere al color fango: un aspetto interessante che punta più ai sensi che all’intelletto, da cosa nasce questa impostazione?
Il museo dovrebbe servire il pubblico, e tutto ciò che abbiamo fatto e stiamo facendo è nato da un rispetto per i nostri utenti, nella loro massima diversità.
Quali sono le previsioni per il progetto “Grande Brera” in Palazzo Citterio?
Per Franco Russoli, il Palazzo Citterio era la chiave della sua ‘Grande Brera’, poiché destinato ad ospitare i depositi della Pinacoteca, i laboratori di restauro e didattici, e soprattutto le collezioni moderne: Jesi, Vitali e Jucker (che era stata ritirata negli anni ‘90). Dopo tutte le delusioni recenti, non posso promettere quando il Palazzo Citterio aprirà come Brera Modern, ma aprirà.
Lei cita spesso alcuni grandi sovrintendenti del passato, come Russoli, Modigliani, Fernanda Wittgens: scelga un aggettivo per ciascuno che ne sintetizzi la “vision”.
Modigliani: la civiltà; Wittgens: la moralità; Russoli: la contemporaneità.
E come riassumerebbe la vision targata Bradburne?
Bradburne: “a occhi aperti” – la curiosità
Il “caffè Fernanda” ha valorizzato un angolo della Pinacoteca, dove si trovava il bookshop, un tempo luogo di passaggio dall’aspetto un po’ polveroso. Prevede qualche iniziativa a breve che sfrutti il nuovo ambiente e ne diffonda la conoscenza?
Dove è adesso il “caffè Fernanda” si trovava l’entrata principale del museo che lei ha aperto dopo la guerra, nel 1950, dedicandolo al suo mentore Ettore Modigliani. Presto sarà pronta la cucina, e stiamo sviluppando una serie di iniziative volte ad intrecciare il caffè con l’esperienza del museo. Il menu è già stato predisposto “in tema” con riferimenti all’arte, e presto includerà anche piatti e bevande che richiamano opere ed autori presenti in Pinacoteca, come per esempio il “carpaccio” e il “bellini.”
Continua la serie dei “Dialoghi”, giunta ormai alla settima edizione: piccole mostre raffinate in cui opere della Pinacoteca sono messe a confronto con “ospiti” provenienti da altri musei: quale sarà l’argomento del prossimo Dialogo?
Certo! Invece di allestire grandi mostre temporanee abbiamo scelto di portare l’attenzione sulla collezione permanente. Il prossimo appuntamento è previsto in gennaio, quando rientrerà dal Museo Jacquemart André a Parigi il nostro Caravaggio, che sarà messo ‘in dialogo’ per tre settimane con il loro Rembrandt sullo stesso soggetto, “La Cena in Emmaus”.
Ormai la Sua permanenza in Italia ne fa quasi un cittadino onorario… Quali sono secondo Lei i punti di forza del nostro Paese? Cosa in particolare Lei apprezza di più personalmente?
La cultura italiana è molto resiliente, è basata sulla solidarietà e la creatività. Se il mondo crollasse domani, l’Italia sopravviverebbe – ogni caffè diverrebbe una banca per i residenti locali. E’ chiaro che i punti di forza sono anche le debolezze: troppa solidarietà può diventare clientelismo, e troppa burocrazia o creatività può trasformarsi in furbizia…
Una nota frivola in chiusura: I suoi panciotti si distinguono per ricercatezza delle stoffe, taglio sartoriale, colori e disegni originali, sono creativi come opere d’arte: si possono leggere come espressioni del suo stato d’animo del giorno?
I miei panciotti sono fatti apposta per ogni inaugurazione, e sono molto spesso legati con l’evento, quindi non sono una riflessione del mio stato d’animo del giorno, per fortuna, ma del legame col museo…
Ringraziamo il dott. Bradburne per il Suo intervento, augurandogli un 2019 ricco di soddisfazioni e di successi.
A tutti i soci felice Anno Nuovo! (A.N.)

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